Ecco il nuovo pg.
Desidero ringraziare Adyna e i moderatori per aver prestato pazienza e avermi fornito i mezzi giusti per portare a compimento questo bg.
Ovviamente, qualora lo ritenessero opportuno il moderatore di razza e gli admin, potrebbe subire ulteriori modifiche
° LA NASCITA DEL SETTIMO °
Notte fredda d’inverno. Tenebre e nubi son padroni di quello squarcio di mondo. Su Arborlon cade la neve, folta e pesante. Tutto l’ambiente attorno è avvolto in un mare di ghiaccio, deserto di arbusti imbianchiti dalla bufera, di alberi i cui rami si protendono verso il cielo in scheletriche pose, quasi a testimoniar la tortura dell’inverno. E in quello scenario che le urla di una donna riempiono l’aria, di dolore, un dolore che va ben al di là delle solite sofferenze della gestazione. Un imponente figura stringe una piccola mano, esile e docile, tremante e bagnata di sudore. La stringe con forza, e le parole fuoriescono da quell’elfiche labbra con amore. Urla la donna, la meretrice è preoccupata. Qualcosa non va. Eppur non è la prima volta per la donna bensì la settima. Strano numero quello,di certo notevole per una donna partorir ben sei figli e apprestarsi a portar alla luce il settimo. E le urla proseguono, la donna è al limite della sopportazione e il marito quel grosso omaccione di nome Kinoc rabbrividisce come percorso da una scarica elettrica, scarica d’energia incerte il cui significato va al di là delle impressioni umane. Ma ecco che nuove urla colmano l’aria, di gioia questa volta. E’ la meretrice che esulta alla vista della testa del bimbo. Strazio, dolore per la donna, le energie si stanno spegnendo e può avvertirlo l’elfo. Sente la vita scivolar via dalla rosea mano dell’elfa. Più è estesa la superficie di pelle del bambino baciata dalla luce della lampada, tanto più è l’energia che fluisce via dal corpo della donna. E così quando le urla del bimbo finalmente venuto al mondo riecheggiano nell’aere allora cessano quelle della donna. Il dolore è terminato, la sofferenza con lui e la morte ha falciato quella vita. Ed ecco che il padre, Kinoc s’avventa su quel bimbo {TU! Lurida creature vessillo di morte! Tu che con la tua vita ha reciso quella di tua madre! Creatura immonda non sei degna di rimanere in vita!} gesto inconsulto. Le lacrime salgono agli occhi straripano dalle orbite e inumidiscono le gote. Afferra il bambino, le cui urla non cessano, lo scuote con violenza. Troppe esile quel corpo per reggere alle percosse d’un uomo tanto robusto. E mentre anche quella vita si spegne, vita che non è durata nemmeno qualche minuto, un’altra sta per emergere. Contrariamente a tutto quanto la gente possa credere, al di là dell’impossibile dal grembo della madre ormai defunta sta uscendo un secondo pargolo! All’opera meretrice! Si prodiga questa per portar alla luce quel bimbo, non più settimo ma ottavo. E il miracolo della vita torna a manifestarsi e quel bimbo fuoriesce da un grembo ormai senza vita. E da quel momento, ha inizio la vita di quell’essere ora sotto le vesti di un innocente creatura. Non piange la creatura, cosa assai inconsueta per un neonato. Ma il padre lo afferra, lo stringe a sé, in lacrime ormai {Tu, tu sarai il mio figlio, ultimo dono della mia amata?} e in quell’istante un lampo rischiara la stanza e il fragore di una folgore risuona, minacciosa. Manka il suo nome, nome che il passato lega, nome che per sempre lì rimarrà.
° LA CRESCITA DEL DANNATO °
Si susseguono gli anni, il bimbo cresce sano e forte. Eppur si nota sin da subito che c’è qualcosa di sbagliato in lui. Capelli chiari, come gran parte degli elfi adornano un volto fine dai lineamenti delicati. Ma quelle due inquietanti fessure, quegli occhi di quel blu ghiaccio, intenso e penetrante non sembran appartenere ad un comune essere. Subito i ragazzi della sua età, così come gli adulti stessi prendono ad evitarlo a stargli alla larga, così come i suoi stessi fratelli e sorelle. Persino il padre sembra nutrire dubbi nei suoi confronti. E l’elfo cresce in solitudine, spesso vagando fra i giardini di Arborlon, toccando e sfiorando le piante. Non appena i suoi sensi elfici raggiungono l’acume necessario per entrare in comunione con la natura. Lo esaltava carpire l’essenza e il flusso vitale delle piante o anche riuscir a comunicar, seppur in maniere alquanto blanda e superficiale con gli animali. Qualche vecchio stolto gli spiegò che tutti gli elfi riescono ad instaurare quel legame, chi più chi meno. Ma l’elfo si dimostra sempre più strano. Spesso è isolato, spesso in solitudine impugna bastoni e lame per esercitarsi. Pian piano diventa sempre più robusto, sempre più forte e molto lentamente il suo diventa un fisico possente, adatto alla scherma o alla lotta. Più volte il padre l’ha spinto ad arruolarsi nell’esercito di Arborlon, per asservir ad una buona causa, più volte la risposta è stato il medesimo e freddo “No”.
° LA FINE DELLO STOLTO °
Passano gli anni, soffiano i venti e l’elfo continua a crescere. Gli allenamenti continuano, ma qualcosa gli dice che non è il combattimento o la violenza ciò che cerca. Si ritira in se stesso, spesso medita tra sé e sè, alla ricerca ancora della sua ragione di vita. La famiglia non ha senso per lui, spesso scompare per giorni dalla sua dimora, spesso ritorna con graffi ed escoriazioni varie. Il Padre è preoccupato ma quel figlio lo scaccia continuamente. Le parole non sono ciò che cerca. Ma cosa cerca allora? Mistero…
E dunque, si sa, il denaro è un bene illusorio che va e viene, che c’è e non c’è. E così anche quello della numerosa famiglia sparisce un giorno. Il povero Kinoc, disperato si sforza in tutti i modi di non far mancare nulla alla sua famiglia ma la vecchiaia s’avvicina e le sue braccia non hanno più la stessa forza d’un tempo. E dunque è necessario ridurre le bocche da sfamare e chi scegliere tra i sette se non quello che, meno di tutti, appartiene alla famiglia? Perché sì, Manka non ha mai vantato una ottima reputazione nemmeno tra i suoi fratelli. E così quando neve e pioggia si fondono e dal cielo cadono in un tutt’uno, il padre fa addormentare il ragazzo per portarla via poi, fuori dalla città, lontano dal mondo dalla loro dimora. E per quanto possa essere difficile per un padre, questa volta non ha provato nessun sentimento. Oh pessimo gesto il suo! Non appena si sveglia l’elfo e la sua mente recepisce quanto è stato fatto alla sua persona, quella notte stessa, poco prima dell’alba si incammina verso la città. Il padre sperava di portarlo talmente lontano da impedirgli di ritrovare la via del ritorno, ma è solo uno stolto, chi si illude di prevedere il futuro. L’elfo, dopo le continue escursioni di quegli anni, dopo l’affinità raggiunta con il mondo della natura, non impiega che qualche ora per ritrovarsi dinnanzi alla catapecchia in legno entro cui, l’uomo che l’ha rifiutato giaceva, ignaro di tutto. Non che gli importasse quanto gli era stato fatto, solo, subire un affronto del genere necessitava di una punizione esemplare. Leggiadri i suoi passi mentre si intrufola nella dimora e afferra una lama da cucina. Passi felpati mentre s’avvicina al letto del padre. E con un lieve tocco, poggia la fredda lama sul collo di lui che subito sobbalza spaventata. Non impiega molto a riversar le proprie lacrime e inutili preghiere. Un tuono riscuote improvvisamente la stanza, così come alla nascita del pargolo. [Non dovevi farlo padre mio, non dovevi fare a me, Settimo dei tuoi figli questo affronto] ebbene sì, perché era lui il Settimo Figlio, non l’ottavo come stoltamente s’era illuso il proprio padre. Scintillano di freddezza le iridi color ghiaccio del Settimo, di rubiconda paura quelli del padre. Lo scongiura, lo prega, ma non c’è verso di distoglier l’elfo dal proprio proposito. [Non sei degno di calcare queste terre padre, né tu né i tuoi stolti figli] ma ei non era suo figlio, non poteva. La lama affonda, la lama marca il suo passaggio sul collo del vecchio mentre il sangue bagna le immacolate lenzuola del proprio letto. E poi, scartata la lama abbandonerà la dimora, senza curarsi dei suoi fratelli. Nessuna remora anzi sorride l’elfo perché ha capito qual è il suo vero obbiettivo. L’ha capito quando le sue parole hanno colpito il vecchio facendolo tremare di paura. Essere un assassino? No, non è il momento in cui ha reciso la vita del padre ad avergli dato soddisfazione bensì, il poter avere nelle sue mani la vita di un uomo, poterla gestire, poter godere della paura che emerge dai volti umani vedendoli. Non è sete di sangue, lui lo sa, è sete di…potere.
*§ Non nascere è il destino migliore, il secondo appena nati tornare subito da dove si è venuti {Sofocle} §*
° Nivel Lyn: La Cacciatrice Lv6 °